Parola di Cane Argo, di Italo Svevo.

 Il padrone di Argo narra che durante una lunga e noiosa convalescenza, non trovando di meglio da fare per svagarsi, ha cominciato a dialogare con il cane, imparando la sua lingua. Le parole che seguono sono dunque dettate dal cane Argo direttamente al suo padrone.



Un giorno sentii nell'aria l'odore di preda. L'odore non dice tutto della preda ma quando Argo lo sente corre dal desiderio od ulula di paura. Non ha bisogno di vedere l'animale per prepararsi alla lotta o al godimento.  È subito pronto. E quel giorno corse spinto dal desiderio. Anna gridò che mi fermassi ma io non conosco dubbi quando la preda mi chiama se non c'è il padrone che mi trattenga. 

Curiosa preda quella! Consegnava il suo sudore al vento. Di solito tutte le stupide cose ne sono piene perché la bestia passando lascia dei segni dappertutto. Trema, palpita l'odore sui fili d'erba ed esala dalla terra nuda. Il padrone quando c'è incita, ma io sono meglio di lui che traballa su due gambe sole mentre io ne ho tre. Poi sono io che scopro la preda raggiunta ed il padrone l'abbatte. Ora essa giace là. Prima sapeva trattenere una parte del suo odore nel suo sacco di pelle di pelo; ma ora che il sacco è squarciato la bestia è sincera. Comunica alla terra e all'aria tutta se stessa e intorno a lei tutto si avviva.

Correndo, quel giorno, sentivo di perseguire una bestia già sincera ciò che mi stupì perché le bestie sincere non sanno più correre. Sulla via si muovevano un uomo e un piccolo omino. Li sorpassai e perdetti la traccia! Il vento era vuoto e muto.  Ritornai sui miei passi e non ritrovai la traccia che quando giunsi dietro ai due uomini. Era evidente che l'odore di preda emanava da uno di quei due. Infatti dalla schiena del maggiore pendeva una bisaccia e in quella, sporgendone con la testa insanguinata, c'era la lepre. Certo, sono sempre io che levo la lepre e altri la piglia, ma questa io non l'avevo neppure levata e sapevo benissimo che non era mia.

Non c'era però ragione di non goderne. Io mi misi a saltellare intorno ai due uomini ed il più piccolo di essi mi accarezzò. Fiutai con l'odore della preda anche il suo che diveniva sempre più amico e benevole e lo seguì. Ebbi qualche esitazione tanto più che ad un certo momento mi parve di sentire il fischio del padrone. Ma il suo odore non c'era e potevo essermi sbagliato. L'omino dall'odore più dolce continuava ad accarezzarmi affettuosamente, e quelle carezze accompagnavano il suo odore. Anzi le carezze e l'odore finirono con l'essere una cosa sola. Così anche l'odore del cibo e quello della vecchia Anna si fondono. Procedemmo sempre oltre insieme. Ero certo che già che il padrone non me lo impediva io dovevo seguire quel mio piccolo grande amico. E si discese e si risalì e si attraversò un bosco e la scopersi un nuovo olezzo. Non era la bestia che giaceva sulla bisaccia perché questa era sospesa in alto mentre la nuova aveva colorato l'intero sentiero sul quale noi ci si muoveva… Pensai: peccato che non c'è il padrone. Ma perché non era venuto? Fece uscire la preda dal folto di un cespuglio e l'uomo con un colpo ben mirato la fermò e la mise insieme all'altra nella bisaccia. (...)

Questo breve brano è tratto da una lunga novella che si intitola Argo e il suo padrone la quale racconta diversi episodi della vita di un cane di nome Argo.

La cosa straordinaria è che è il cane stesso a raccontare la storia.

L'autore immagina che il padrone di Argo dopo aver vanamente tentato di insegnare a parlare all'animale abbia finito per imparare egli stesso il linguaggio dei cani e ne abbia quindi accolto le confidenze.

Fin qui il racconto di Italo Svevo non avrebbe nessuna caratteristica particolarmente interessante perché storie di animali parlanti non sono rare nella letteratura; basti pensare alla narrativa per l'infanzia.

Svevo però non è uno scrittore banale ed anzi in tutta la sua opera mostra sempre una certa vena creativa e originale. Argo, infatti, parla di sé in maniera strana e divertente. Lui vede, sente, pensa e giudica in modo molto diverso da quello degli uomini. La bellezza e la comicità del racconto sta proprio in questo: l'autore ha saputo mettersi nei panni di un cane! Ha saputo inventare una possibile logica canina; i fatti e le cose dunque sono visti da una prospettiva inconsueta.

Se hai letto con attenzione il brano avrai notato infatti la grande importanza che viene data agli odori, secondo le abitudini dei cani da caccia, perché tale è Argo. L'animale conosce il mondo prima di tutto atraverso l' olfatto. Argo afferma che gli odori del mondo a suo giudizio sono tre: quello degli uomini, quello del padrone e quello di Tete Tete una cagna a cui Argo spesso corre dietro.

Nota come Argo passi da usare la terza persona singolare alla prima, sempre per esprimere i propri pensieri e osserva che lui sa contare solo fino a tre, numero massimo utile per esprimere qualsiasi quantità superiore a due.

Italo Svevo è stato uno scrittore triestino vissuto a cavallo tra otto e novecento e famoso soprattutto per il romanzo La coscienza di Zeno.

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